Packwork riflessioni degli operatori F&S Covid19

Packwork delle riflessioni degli operatori F&S Covid19

Vai all'articolo...

 

Allegati:

1.Primo_Incontro.docx

2.Verbale_secondo_incontro.docx

3.Terzo_incontro_F&S_08.04.20.docx

4. Verbale_4_incontro_F&S_InterCT.docx

5.VERBALE_5_INCONTRO_F&S_InterCT.docx

6.VERBALE_6_INCONTRO_F&S_InterCT_Covid19.docx

7.VERBALE_7_INCO_3.6_F&S_covid19_def( raga).docx

intervento_Camillo_Convegno_Mito_e_Realta.docx

Intervento_Carolina_ROSA_DEI_VENTI.docx

WEB-CONVEGNO.odt (formato Open Document)

Ministro_della_salute-Ass.Mito&Realta_Comunita_terapeutiche_per_minori_adolescenti.pdf

CT_INUS_Processo_sviluppo_base_musicale.pdf

lavoro_nicolas_covegno_DEFINITIVO.odp (formato PowerPoint)

 

 

Vai all'articolo...

 

Video delle comunità

CT Piccolo Principe

 

 

CT Villa Plinia

 

 

CT Progetto Comunità Kairos

 

 

CT Ethos

 

 

CT Acquaviva

 

 

 

Vai agli allegati...

 

 

Comunità “ETHOS”, Gela (CL) Sicilia

prima settimana di aprile 2020

Il cambiamento che ci ha travolto e l’occasione per condividerlo.

Il cambiamento, parola tanto comune e forse anche abusata, nel nostro linguaggio tecnico, quasi sempre riferita ad un bisogno o ad una necessità altrui, in queste ultime settimane, con modalità inevitabili e stravolgenti, siamo costretti ad accoglierlo e sperimentarlo almeno nella mutata organizzazione della nostra giornata.
Non è solo un modello diverso e contingente di gestire il tempo e le relazioni ma è una percezione sempre più stringente e globale che qualcosa sta cambiando: ecco che all’improvviso l‘ambiente Comunità con i suoi ritmi, la sua organizzazione, i suoi rituali, diventa rassicurante, quasi protettivo rispetto ai sempre più minacciosi elementi esterni.
La nostra Comunità ha scelto una rigorosa modalità di confinamento per cui l’accesso è consentito solo agli operatori che garantiscono la continuità assistenziale per gli utenti ( l’equipe si ricompone grazie alle video conferenze bisettimanali; allo stesso modo viene garantita la continuità del sostegno e della terapia psicologica). Sono proprio gli operatori in prima linea, gli stessi che ogni giorno si devono inventare una organizzazione del tempo comunitario che azzeri i momenti vuoti, che parlano della piacevolezza del turno di lavoro a dispetto del maggiore stress determinato dall’impegno lavorativo per certo più intenso. …la Comunità è una certezza, mi posso impegnare al meglio con i ragazzi, adesso che non possono incontrare genitori, fidanzate, amici, loro hanno soltanto me…

Ma se il cambiamento ci coinvolge in maniera cosi diretta per cui viene sempre meno la sicurezza di essere al riparo, di appartenere alla polarità di chi gestisce piuttosto di chi subisce, è anche vero che questo scossone ci avvicina ai nostri ragazzi, realizza le condizioni per una sintonia inusuale ed inattesa, questa volta non sono solo loro a dover cambiare …guarda anche io sono sulla stessa altalena, non sto più seduto accanto a suggerirti come devi o come non devi fare…
I ragazzi, dal canto loro, hanno avuto subito chiaro, dovendolo subire con la rabbiosa passività di chi non comprende bene – elemento costante nella loro storia di vita – che la Comunità sarebbe diventata un carcere: non ci sarebbe più stata vita fuori dalla Comunità. Da un giorno all’altro non ci sono più spazi dove ognuno può esprimere, come meglio ritiene, la propria individualità, ma solo spazi e tempi comuni, inevitabilmente, sempre a contatto con gli altri.
Non conosciamo bene quali saranno gli esiti dell’interazione fra tutti questi elementi di cambiamento: possiamo solo registrare gli eventi nel loro presentarsi quotidiano ed affrontarli con le conoscenze che abbiamo. Gestire le sempre più frequenti esplosioni di insofferenza non può essere solo un problema di controllo farmacologico ma, allo stesso modo, non riteniamo possibile che la sola presa in carico psicologica possa rappresentare l’unica risorsa nei confronti di queste, peraltro, prevedibili manifestazioni.
La discussione ed il confronto diventano fondamentali.

Il responsabile Sanitario
Dott. Luciano Criscione

 

 

Riflessioni su Covid-19 CT Amailia 1 e 3- Caserta (Campania)

Consulta per ripensare alla vita sociale e di relazione durante il Coronavirus”

L’organizzazione della “Fase 2” della gestione emergenziale Covid-19, all’interno delle CT per adolescenti, impone una attenta riflessione sulla rimodulazione delle azioni di prevenzione del contagio, che pur permettendo un allentamento delle restrizioni, debbono al tempo stesso garantire la tutela della salute personale e dell’altro. Viene richiesto a tutti noi, ancor più che nella prima fase, la tenuta di comportamenti e condotte di grande responsabilità civica e personale. A tal proposito, ancor prima che informare il personale e gli ospiti sulle procedure e sulle possibili implicazioni legate a comportamenti irresponsabili, è opportuno e doveroso formare tutti gli attori del nostro contesto comunitario circa il significato della parola libertà. Da noi tutti, la condizione di restrizione della libertà è vissuta come una violazione subita, anche se legata ad uno Stato Emergenziale per un interesse di salute publica. Questa particolare condizione non appartiene alla storia delle nostre generazioni.
Può accade, quindi, che nella stesura di un documento che individui procedure e prassi per la valutazione del rischio, la prevenzione e la gestione del contagio, si corra il rischio di porre l’attenzione su due bisogni dicotomici: 1) da una parte il bisogno di sollecitare il gruppo verso una azione omeostatica che ci riconduca alla riconquista della libertà perduta; 2) all’altro polo, il bisogno di chiudersi e mantenere l’organizzazione restrittiva allo scopo di vincere la paura e l’ansia legate al contagio.
In queste situazioni, le discussioni in equipe, se pur motivazionalmete orientate al pensiero scientifico, facilmente possono cedere il passo a manifestazioni simboliche/simmetriche. Abbiamo l’obbligo quindi, di ricondurre la discussione sul piano del “pensiero scientifico” attraverso; 1) una attenta valutazione dei rischi di ogni singolo e specifico contesto Comunitario; 2) l’osservazione dei bisogni reali dei singoli e del gruppo; 3) l’ascolto delle esigenze dei familiari dei nostri piccoli ospiti.
Dare importanza in maniera equilibrata a questi tre obbiettivi è un esercizio di grande difficoltà, se ci si pone in una prospettiva adultocentrica. Ancor peggio se la visione è bambinocentrica.
Di sicuro le restrizioni alla libertà personale poco si addicono a percorsi terapeutici, che viceversa, sono focalizzati all’attuazione di programmi di sostegno dell’autonomia. Altrettanto vero è che “l’adulto in CT” è portatore di azioni che si basano sul principio di funzionamento del “pensiero scientifico.
Ma in questa particolare situazione emergenziale, nella quale spesso abbiamo avuto il sospetto che i ruoli si invertissero, assistendo a minori che responsabilmente accettano la loro condizione di “clausura” (alla quale per altro sono già parzialmente abituati), ed “adulti operatori” quali vettori di paure e ansie, le due visioni contrapposte (adultocentrica e bambino centrica) sono l’espressione di agiti emotivi privi di consapevolezza.
In questa situazione, i confini del concetto di libertà possono sfumarsi, permettendo sconfinamenti ora nella direzione del restringimento del suo spazio, ora nella direzione opposta, e senza il supporto di un vero esame di realtà.
Per noi adulti, dunque, è di fondamentale importanza, per comprendere la reale condizione e i veri bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie, non prescindere dalla costruzione di uno spazio di condivisione democratica.
Per questo motivo abbiamo proposto ai ragazzi, ai loro genitori, alle istituzioni competenti, la costituzione di una “Consulta per ripensare alla vita sociale e di relazione durante il Coronavirus”, che permetta il confronto tra tutti gli attori della rete. Lo scopo non è solo quello di condividere le scelte, le procedure e le regole di comportamento, ma soprattutto, di condividere le responsabilità ad esse legate, e di sciogliere le consapevolezze legate alle conseguenze delle azioni individuali. La consulta, come uno spazio per mezzo del quale, attraverso il confronto, si possa costruire la libertà; una condizione attraverso la quale l’individuo possa pensare, esprimersi ed agire senza sentirsi costretto, scegliendo gli strumenti che ritiene più utili alla sua realizzazione. Una libertà, però, che deve tener conto delle libertà degli altri, e si fondi sul rispetto e la tutela per entrambi.
In questo spazio, la comprensione e l’accettazione condivisa di restrizioni e/o di permessi, prende il posto dell’imposizione di procedure, regole e direttive.

Direttore
Progetto Amalia 1 e Progetto Amalia 3
Dott. Camillo Lupoli

 

 

 

Comunità INUS (Sardegna)

Siris, 6.4.2020

Riflessioni sul vissuto dell’emergenza da Covid-19 in comunità e oltre.
La comunità Inus, in rappresentanza dei suoi ospiti ed operatori, si è trovata, come tutte le altre comunità, catapultata in una realtà in cui, anche con la necessaria formazione e preparazione sarebbe stato difficile sentirsi pronti.
I pensieri vanno ad un mondo che percepiamo cambiato, insidiato da un nemico da combattere o meglio, dal quale difendersi, con strumenti ancora acerbi che si spera possano diventare più efficaci, ma il tutto fluisce sull’incertezza, non solo di noi operatori e ospiti di comunità, ma anche di tutti i servizi e istituzioni (si parla delle istituzioni Sarde).
Ci ritroviamo fragili a dover sostenere le fragilità ancor più grandi dei nostri ragazzi, che già in tempi normali soffrono per i loro vissuti traumatici e in questa emergenza hanno maggiore difficoltà ad accettare le disposizioni ancor più restrittive, che sono magari arrivate in un momento dove grandi sforzi e sacrifici erano stati fatti per guadagnare le tanto ambite autonomie ed indipendenze.
E allora il gruppo di lavoro ha deciso che piangersi addosso non è una soluzione terapeutica e gli operatori, tutte le mattine, nonostante la paura, si armano di quello che hanno e, con professionalità, passione e coraggio, vanno sul posto di lavoro e scoprono che fare dell’arte dell’arrangiarsi un strumento del mestiere è una soluzione positiva. Si costruiscono le mascherine ‘fai da te’, perché ti rendi conto che i canali di distribuzione ufficiali non sono per tutti, si fa la pasta fresca e i dolci, si fanno i giochi di società da tavolo, lo yoga e il ping pong, c’è chi fa le pulizie, chi studia, chi canta etc. e ogni tanto qualcuno fa il “matto”, perché anche l’ansia, la paura, l’incertezza, la noia, l’impotenza e il fallimento fanno parte di queste giornate in comunità. E gli imprevisti critici vengono accolti, con fatica, ma con altrettanta determinazione per dare un senso a ciò che ci fa male, con la considerazione di quanta solitudine può esistere in un mondo senza abbracci e con la speranza che quando tutto finirà saremo più forti di prima.

Coordinatore Walter Pisci

 

 

 

Comunità Progetto Amalia 3 e Progetto Amalia 1 (Campania)

Esperienza Covid-19

A causa di questa grande emergenza, viviamo nella Comunità terapeutica storie di quotidiano cambiamento: stiamo comprendendo la fragilità di tutti, non solo degli ospiti, ma anche degli operatori. Nonostante la paura, che invade tutte le menti, gli operatori, con professionalità e passione, raggiungono il posto di lavoro, armandosi di quello che hanno. La Comunità sta adottando misure di sicurezza molto restrittive a tutela dei minori e degli operatori socio sanitari che operano nelle strutture.
L’intera equipe quotidianamente spiega ai ragazzi perché non si può uscire, perché non possono vedere i familiari, rientrare a casa o ricevere visite all’interno della Comunità. Dalla fase iniziale, in cui sono state attivate le misure di contenimento per evitare il contagio, abbiamo dovuto reinventare il programma giornaliero e le attività terapeutiche. I laboratori attivati sono davvero tanti e vengono effettuati tutti all’interno della Comunità, cercando di prevenire situazioni di esplosioni da parte dei ragazzi, creando attività pratiche e manuali. Purtroppo questa condizione crea angoscia, senso di vuoto e di abbandono soprattutto ai ragazzi con problematiche importanti.
La domanda ricorrente che ci viene posta da parte degli ospiti è: quando riprendere i contatti con i loro familiari, quando rivederli. Questa domanda posta da parte di ragazzi fa riflettere sul senso della solitudine, sul senso di appartenenza e di identità. I ragazzi stanno vivendo le distanze affettive, psicologiche ed emotive dalle loro figure di riferimento, questo stato porta un senso di angoscia e di abbandono, per questo abbiamo attivato altre modalità comunicative tramite skype e whatsapp che possano far sentire i ragazzi quotidianamente con le loro famiglie. Oggi tutte queste riflessioni richiamano il disagio che tutti stiamo provando come condizione primaria. Ci sono altri strumenti per arrivare al cuore: le parole. La voce della persona che vogliamo sentire ha un grande potere, può accarezzare e abbracciare, può farci emozionare o distrarre. Può supportare e sopportare. Il telefono rimane uno strumento validissimo per rimanere in contatto con chi è in quarantena in un altro luogo rispetto al nostro. Un’altra soluzione potrebbero essere le email o le lettere. Parole che cammineranno a lungo nel cuore e nella psiche di chi le riceverà.
La Comunità terapeutica, i nostri servizi, gli operatori, gli educatori si inventano ogni giorno, ora dopo ora e tra mille difficoltà, anche per sostenere e spiegare ai ragazzi, ancor più isolati di ieri, quello che sta accadendo. Responsabile ed operatori percepiscono il bisogno di utilizzare un linguaggio comune e di far rete all’interno della struttura dove il senso di responsabilità, in questo periodo, comprenda noi e l’altro.

Responsabile
Alessandra Ragozzino

 

 

 

Comunità Progetto Amalia 3

Le nostre video conferenze credo che facciano sentire meno soli i nostri ragazzi , più simili a qualcun altro che sta vivendo le stesse mancanze e le stesse restrizioni .Ad ogni incontro sono motivati, emozionati di condividere con i pari ciò che in questo momento li fa stare meglio, durante tali incontri percepisco le loro emozioni ,la loro voglia di sapere l’altro cosa fa e come lo fa. Questo momento così difficile ci limita molto, ci toglie gran parte di quelle che sono le interazioni con i ragazzi : gli abbracci, le carezze. Ogni giorno fai i conti con quegli occhi che elemosinano un contatto fisico, ma sai che è per il loro bene e cerchi di spiegarglielo, cerchi di non fargli ri-vivere quel senso di abbandono. La nostra comunicazione viene rafforzata o passa molto spesso attraverso ciò che non è solo parola e ad oggi che questa parte è venuta a mancare hai la sensazione come se non riuscissi ad essere/dare abbastanza. In merito a ciò credo che da qui nasca l’esigenza di fare, di creare e inventare per loro e anche per noi operatori sempre qualcosa di nuovo e qualcosa che li tenga impegnati, senza dare loro la sensazione del “compito” o del “dovere”.

In queste settimane la nostra comunità ha messo in piedi diverse attività, alcune come prosieguo di quelle già in atto , ma con modalità più flessibili e leggere. I nostri laboratori erano non solo professionalizzanti, ma anche un momento di scambio e condivisione con la comunità gemella (Progetto Amalia1), ad oggi diventano un momento sì professionalizzante, ma soprattutto di svago e di leggerezza. I laboratori di pasticceria, cucina, informatica, colore, teatro, falegnameria e scrittura creativa sono stati integrati da spazi ludico-ricreativi come Pic-nic all’aperto, cineforum, serate karaoke, pigiama party, apericena, serate pizza, découpage ,giochi all’aperto, giochi da tavolo e tanto altro. Insomma cerchiamo di fare sempre attività nuove, che li rendano partecipi e non li annoino; insieme nella loro riunione (gruppetto) decidono e si confrontano tra di loro e con noi operatori su cosa organizzare durante la settimana. ragazzi hanno intensificato i contatti telefonici con le famiglie tramite whastapp, chiamate protette, video incontri famiglia/responsabile e famiglia/ospite A mio parere ho la sensazione che ciò li stimoli molto e al tempo stesso li contenga, quindi facendo in modo di non farli essere concentrati su ciò che oggi manca e dalla lontananza dalle famiglie.

Come avevo già detto in videoconferenza , la comunità per me è un ancora di salvezza, il posto sicuro, spesso ho la sensazione che lì nulla può accadermi. In questo momento sicuramente difficile, io non sento che il carico di lavoro sia aumentato, ma capita che ci sia un carico emotivo difficile da gestire che fa la lotta con la paura di un nemico fuori controllo ,imprevedibile e invisibile. L’equipe in questi momenti si stringe e fa squadra ,la senti più vicina , si nota una collaborazione e coesione maggiore, importante è la supervisone dell’equipe e l’interesse verso il singolo. Mai quanto quest’esperienza mi sono sentita molto più vicina ai nostri ragazzi, forse loro più abituati alle restrizioni e/o all’essere limitati. L’ultima riflessione è in merito a quanto veniva detto nell’ultima video conferenza rispetto alla possibilità di nuovi ingressi; sicuramente ciò non è impossibile, ma poi penso alla prima fase di ogni ingresso e mi viene in mente una sola parola “ACCOGLIENZA”, come faccio ad accogliere se devo isolare? Come faccio a integrare se non può stare a contatto con i pari? Come faccio a non fargli sentire la solitudine se deve stare da solo? Tutto ciò mi sembra andare in contrasto con quello che è il principio fondamentale della comunità.

Coordinatrice Annamaria Zarrillo
Progetto Amalia 3
Piedimonte Matese (Caserta)

 

 

 

Comunità Villa Plinia- Fondazione Rosa dei venti onlus (Lombardia)

Ecco alcune considerazioni di Freud del 1915 a proposito della distruttività del primo conflitto bellico che sembrano essere simili ai nostri vissuti all’epoca del coronavirus, fatti di perplessità, di incertezza, di confusione, di angosce che rischiano di essere agite perché impossibile pensare di pensarle.

“Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che si sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare. Ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato.” (1915a, p. 123)

Freud mette in evidenza come al tempo del conflitto bellico i disturbi di ordine nevrotico sembravano ridursi. Questa osservazione sembra confermata dai dati che emergono dai pazienti che vivono nelle zone rosse odierne in cui i disturbi ipocondriaci sembrano diminuire, lasciando spazio alla sana preoccupazione, ma talaltra, purtroppo, a un acutizzarsi di una incontenibile ansia che insieme alle angosce generano fantasie di morte e perdita di controllo.

Freud ha articolato uno degli aspetti fondamentali dell’esperienza legata ai cambiamenti a cui ci sentiamo costretti, alle loro conseguenze e alle relative paure: il lutto anticipatorio e il rischio del ritiro degli affetti dagli oggetti avvertiti come danneggiati o danneggiabili, cioè la condizione psichica che può mostrarsi espressivamente come apatia. Il saggio “Caducità” suggerisce come l’ambiente e gli oggetti affettivamente investiti possono essere esperiti in un clima di perdita incipiente e di paura incombente della fine. Il lutto esperito dal poeta, testimone passivo di un’eventuale futura distruzione, non è elaborato, ma si tratta di una difesa narcisistica per evitare l’autentico e doloroso processo del lutto attraverso la sua anticipazione; la bellezza è anticipatamente perduta e a questo Freud si ribella, proponendo di riparare e ricreare il mondo danneggiato, sia quello interno che quello esterno, concludendo con speranza in questi termini:

“Una volta superato il lutto, si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l’esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e più duraturo di prima.” (Ibid., p. 176)

 

DI SEGUITO I PENSIERI EMERSI DAGLI OPERATORI IN PRIMA LINEA:

In questi 2 mesi di quarantena quello che mi ha colpito maggiormente è stato come, piano piano, i legami veri si sono rafforzati ancora di più mentre quelli superficiali e oramai logori si sono sempre più allentanti e questo, se all'inizio mi ha spaventato e fatto sentire un senso ancora più ampio di solitudine, sulla lunga mi ha dato maggiore serenità e tranquillità, come se un cerchio che non aveva senso ora si fosse chiuso e fosse diventato un piccolo rifugio.
Questo rafforzarsi di alcuni legami e il lacerarsi di altri secondo me si è visto anche tra gli adolescenti ospiti della struttura, sono nate nuove vicinanze, e anche tra quelle più evidenti alcuni si sono rafforzate altre forse si stanno spaccando.

Trovarsi ad avere meno stimoli esterni ha portato a cercarne di più internamente, a prendere atto di cosa manca realmente e quali sono i bisogni reali e le motivazioni che portano a vivere, anche questo l'ho vissuto sia a livello personale che l'ho visto nelle diverse reazioni degli ospiti; da chi sentendosi solo e senza stimoli è entrato in crisi sempre più spesso e si sta lasciando andare alla noia , a chi invece ha iniziato a ricercare vecchi amici e a riavvicinarsi ai genitori seppur vrtualmente, abbandonando i toni di rabbia per cercare di aprire un piccolo dialogo, a chi spaventato da sé stesso e dai propri pensieri non ha resistito ed è fuggito per cercare distrazioni e motivazioni per continuare a vivere.

Lavorare senza avere distrazioni all'esterno è difficile, non avere altri pensieri quotidiani porta a pensare di più ai ragazzi e a farsi coinvolgere maggiormente dalle loro storie e dal loro stato d'animo. Solitamente non sogno il lavoro, mentre diverse notti mi è capitato di fare sogni sugli ospiti dando una vera e propria immagine a quelle che possono essere le mie preoccupazioni.

Lavorare in equipe mi ha permesso di condividere paure, ansie da un lato e momenti di risate e condivisioni dall'altro, ma è stato più difficile sia per la mancanza di alcuni riferimenti che ad oggi sono ancora molto forti sia perchè la frustrazione personale legata alla perdita della propria libertà e la mancanza di sfoghi esterni, mi ha portato sicuramente a livello personale, ma a mio avviso a livello generale, a maggiori attacchi e critiche. Il gruppo degli ospiti, purtroppo, al contrario dell'equipe degli educatori, è usato dai ragazzi solo per sfogarsi con prese in giro, scherzi e provocazioni, facendo fatica a “usarsi” tra loro come “compagni di sventura” e a sostenersi tra pari.

L'emergenza sanitaria che stiamo vivendo ci porta a riflettere maggiormente su ciò che accade e pensare al singolo appartenente al gruppo comunità! La comunità diventa non più un luogo da cui "proteggersi" ma un luogo da tenere protetto dal mondo esterno! Siamo diventati un po' tutti ospiti di comunità, necessità di regole che limitano anche lo spostamento fisico, azionare maggiormente il pensiero creativo e sentirsi chiusi in una bolla che a volte sentiamo protettiva e a volte soffocante.
Tutto è cambiato, nel giro di qualche giorno. C'era un grande caos dentro e fuori di noi, un caos difficile da spiegare e comprendere!
Una situazione irreale che con il passare dei giorni è diventata la quotidianità. Diviene molto difficile ripensare a questi mesi passati che sembrano un tempo così dilatato, caratterizzato da moltissime emozioni. Da momenti di forte gioia ed entusiasmo da condividere con i ragazzi e colleghi, a momenti dove le proprie preoccupazioni avrebbero voluto prendere il sopravvento.
Ci troviamo in un periodo dove ci viene richiesto di resistere,dove oltre a trovare l'energia per farlo per noi stessi, siamo tenuti a farlo anche per i ragazzi con quale lavoriamo, viviamo! Tutto questo è estremamente faticoso ma il gruppo di lavoro serve proprio a sostenersi l'un l'altro!

Da mesi ormai non si esce di casa, o quasi, come noi, anche altri milioni di persone nel mondo hanno dovuto cambiare drasticamente e improvvisamente le proprie abitudini, dobbiamo limitare e giustificare le nostre uscite, una situazione surreale.
In alcuni paesi tra i quali l’Italia, l’epidemia di Covid-19 è l’evento più grave che si sia mai verificato, da mesi non si parla d’altro, la situazione è molto grave e in diversi paesi i contagi continuano ad aumentare, i sistemi sanitari sono in grande difficoltà, moltissime persone perderanno la vita e il lavoro.
I contagi stanno diminuendo, e mano a mano che si placa l’emergenza, la domanda che mi faccio più frequentemente è: “Come cambieranno le società e le nostre vite dopo l’epidemia?”

Il covid 19 ha parecchio condizionato la mia vita, mi ha fatto cambiare abitudini nella quotidianità di tutti i giorni, mi ha negato la possibilità di rivedere i miei cari. A livello lavorativo ha creato delle ansie e delle paure e appesantito gli ospiti che faticano molto di più ad accettare queste limitazioni.

Alessandra Borrello
Coordinatrice Struttura Riabilitativa Plinia
Psicoterapeuta

 

 

 

Comunità Acquaviva – Cagli

È stato ed è rassicurante e bello poter dare forma (con giorni, tempi e spazi scanditi…) a momenti di confronto in una dimensione più grande, macro, su pensieri/emozioni che viviamo ognuno di noi all’interno e per l’istituzione che rappresentiamo. E questo spazio (gruppo Fragili e Spavaldi), così strutturato, è nato “grazie” alla pandemia che ci ha dato la possibilità di ri-pensarci (fase 2), facendoci più o meno partire dalla stessa posizione, però prima ci ha “regalato” un momento obbligatorio e necessario in una dimensione di solitudine interiore, perché il dilemma da tenere insieme, è la vita e la morte (Stauder). Dico regalato perché ci ha imposto, inevitabilmente di fermarci, a ri-definire le priorità a cui dare valore; visto che il mondo/la società aveva perso di vista l’idealità/l’etica condivisa da cui partire. Con questo presupposto storico e sociale, noi, Acquaviva stavamo attraversando un processo interno del cambiamento organizzativo; dove gennaio 2020 è stato il mese della calendarizzazione spazio/temporale del processo organizzativo annuale nuovo, ovviamente modificabile se l’imprevisto arrivava (la flessibilità nella regola). Calendari con cui provare a definire i gruppi, nel nome, nel tempo e nello spazio, che, ognuno con il proprio obiettivo macro e micro, dà forma comunicabile e comprensiva del proprio lavoro come impatto sul clima (contesto sociale). Clima che è determinato a sua volta da come io PERSONALMENTE vivo il mio confine tra personale e professionale. Non posso non pensare alla vignetta di Pat Carra che rappresenta il concetto di doppia presenza con una donna che cammina su un filo appeso all’aria aperta.

Questo momento storico ci ha fatto vivere nella testa e nella pancia il bisogno dell’altro; nell’istituzione l’altro deve essere, per poter funzionare un gruppo, un gruppo che parte dal micro per arrivare al macro, ogni sistema influenza l’altro sistema, sistema sua volta fatto da bambini, adolescenti donne e uomini. Nella nostra organizzazione interna, che per poter essere pensata e quindi agita, ha come metodo di lavoro, sempre in modo molto più chiaro, il territorio come “luogo concreto” in cui poter mettere alla prova, nel qui ed ora, i passi di consapevolezza del proprio percorso terapeutico: come sperimentare nel territorio il proprio confine interiore, pensato all’interno della comunità terapeutica. A marzo 2020 tutto questo viene a mancare e come in un salto nel vuoto ti trovi “dentro le mura” con un nemico assurdo e complesso “la paura”…La paura un tema vivo profondamente all’interno della Comunità Acquaviva. Scoppia un “kilombo” mondiale. Sinceramente noi, come istituzione, siamo abituati a gestire “kilombos individuali” e, sicuramente siamo molto bravi e brave a tenere insieme incredibili emozioni non pensabili, però, così, forse è un po' troppo… 2 mesi di inquietudini interne che nelle due case prendono forme differenti per l’età di rifermento: si mischiano indefinitamente tra gli/le adolescenti e gli operatori/trici nel piano di casa Orizzonti Blu, invece, sul piano di lupo rosso le inquietudini s’incontrano e si riconoscono e provano a rispettarsi in modo meno violento e distruttivo.

In questo maremoto violento e pauroso, la comunità ti obbliga però, professionalmente ed umanamente a provare a capire come costruire e non solo nascondersi dentro la “paura e la chiusura”, ognuno con il suo tempo e spazio, ovviamente all’interno di un gruppo. E così piano piano è stato possibile pensare la fase 2, provando a guidare l’istituzione, in tutta la sua organizzazione, a diventare pensabile l’affasciarsi al mondo. Tali pensieri prendendo forma in alcune direttive chiare da seguire, che provano a nascere e tenere insieme le direttive nazionali: una carta nautica interna dentro ad una carta nautica esterna dove poter navigare con la NECESSARIA E FONDANTE CO-RESPONSABILITA’ INDIVIDUALE di aver un potere concreto di cambiare le cose agendo verso il bene comune, che abbiamo capito dopo queste 2 mesi di pandemia, essere l’incontro con l’altro o altra. E tutte queste parole, sicuramente inutili o ovvie per l’altro o altra, per me, sono felicità della consapevolezza del processo, una meravigliosa rivoluzione in cui poter avere un piccolo potere di cambiare socialmente, (di dipingere il mondo insieme), le carte nautiche necessarie per navigare con delicatezza e rispetto dell’altro e dell’altra. Questa meravigliosa sensazione è cresciuta dentro di me grazie, anche, alla partecipazione a questo gruppo di lavoro che regala confronto, comprensione e sicurezza. Tutto questo in una grandiosa confusione creativa, mi sto chiedendo se è solo mia o tutto il gruppo la sente? Vorrei dire Grazie a Monica (Fondazione Rosa Dei Venti) per il pensiero la fase 2 può essere pensabile…Vorrei dire Grazie a Annamaria Zarrillo (Progetto Amalia 3) pensiero la fase 2 potrebbe essere la fase di sganciamento…

Direttrice Lucia Micheli Comunità Acquaviva