La gestione dei confini

decresc

Residenza: roma

Mi sembra che il minimo comun denominatore della gran parte degli interventi sembra riguardare la necessità psichica, del pazienei borderline ,di produrre una discontinuità nella relazione terapeutica che tuteli una seppur caotica omeostasi psichica.(Banfi,Ferrura,Santoro) Correale ci illumina sulla origine e necessità di questa discontinuità.
Io vorrei soffermarmi sul la estrema difficoltà della gestione di tale discontinuità. Se infatti l’intervento in c.t. può divenire l’intervento elettivo per questi pazienti, è forse proprio perchè la comunità può garantire, come qualcuno ha già detto, una continuità nella discontinuità.
La comunità come servizio disponibile sulle 24 ore 365 giorni all’anno rappresenta l’elemento permanente ( l’equipe eterna di cui parla Zapparoli) rispetto all’impermanenza della condizione Borderline, ma a patto che la comunità consenta dei “ transiti “ , degli “ attraversamenti” da parte del paziente . Questo può avvenire solo se la comunità è in grado di gestire i propri confini.
A questo proposito consiglio la lettura e allego il link di un articolo in cui sono presentati alcuni casi di pazienti borderline nella comunità in cui opero, articolo che giustifica la necessità di consentire tali transiti tramite una gestione flessibile dei confini della comunità: http://www.comunitapassaggi.it/pdf/articolo_confini.pdf
Se la comunità ospita patologie” miste”(differenti) questo può avvenire però senza che la c.t. debba modificare troppo la sua” natura “, culturale e organizzativa,( poiché nessuna istituzione è disposta a troppe modifiche per una minoranza dei suoi membri) se la comunità ha già nel suo “codice genetico” una sufficiente flessibilità per garantire i transiti necessari al paziente borderline per sperimentare le sue discontinuità in un contenitore stabile ma flessibile.
La comunità “mista” ( come è nella tradizione italiana quasi sempre con pazienti psicotici e borderline insieme)possiede inoltre delle potenzialità relazionali che danno ulteriori garanzie di continuità al paziente borderline : la presenza di pazienti psicotici e schizofrenici spesso meno “dinamici”e più continui ( C.Cimino :La psicosi e il continuo 1993) propone una dimensione preminentemente centripeta rispetto a quella centrifuga messa in atto dai borderline.
A questo riguardo penso risulterebbe interessante un confronto su questo forum con l’esperienza di Marco Chiesa trattando, le comunità inglesi , gruppi omogenei di pazienti borderline.
Chiedo a Marco, che saluto, che flessibilità le comunità inglesi garantiscono? Ritenete possibile e necessario che tali pazienti producano interruzioni? Come le gestite?

Credo inoltre sia esperienza condivisa che nella coazione a ripetere controfobico-abbandonica la comunità deve dimostrare di non essere distrutta dalla discontinuità. ( deve sopportare gli attacchi al legame ,la continua rottura dell’alleanza terapeutica , gli acting out).
Dalla mia esperienza risulta che il maggiore ostacolo alla flessibilità necessaria a trattare questi pazienti è costituito però dal ginepraio delle responsabilità istituzionali: I servizi invianti quasi sempre non concordano con questa flessibilità ed anzi il paziente quasi sempre viene inviato in c.t. con una richiesta neanche tanto implicita, ma unica, di tutela rispetto ai suoi agiti. Detto altrimenti : quasi sempre la comunità non riesce a trovare un accordo con i servizi invianti ne essi delegano la piena autonomia del trattamento! ( che in ogni caso sarebbe una “piena” delega di responsabilità e quindi una spada di damocle).

Infine mi permetto di proporre una poesia di una ex ospite della comunità dimessa anni or sono che illustra esemplarmente la dimensione esistenziale dei vissuti borderline. Il trattamento di questa paziente è stato particolarmente impegnativo per i motivi suddetti ma tutta l’equipe della comunità è rimasta a lei particolarmente legata per Il fatto che l’intervento ha avuto un esito insperabilmente favorevole e lei , che vive oggi autonomamente ,dopo anni dalla dimissione mantiene una continuità affettiva con tutti i membri dell’equipe.
Gennaio 2003
Con orfico interesse t’appresti
Nell’inseguire quella linea….
Linea retta e vitale.
La osservi, la scruti, la sfiori
Ma di sicuro non la potrai
Mai veramente seguire….
Il motivo è semplice e conciso,
ma , da tua assidua nemica
te lo voglio solo far intravedere.
La linea è la vita
Ed una volta posseduta
Sarai per l’ennesima volta
Punto e a capo.
Non v’è ne inizio, ne fine.
C’è solo il continuo sperare
Di non essere mai accerchiato…
..disastroso potere è il suo…
D.P.
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marino de crescente

cassel

Caro Marino, ti saluto anch' io. La discontinuitá nella terapia con il pz borderline non e' ne da auspicarsi ne da scoraggiare: e' un fenomeno che accade e deve essere valutato volta per volta. Nel nostro servizio territoriale avviene abbastanza spesso ed e' tollerato. Rispettiamo la necessitá del pz di avere del time out e nella discussione di equipe cerchiamo di capirne le ragioni. Manteniamo un contatto con il pz attraverso l' inferniera psicosociale e con contatti telefonici o epistolari, fino a quando il pz e' pronto a riprendere la terapia. Tuttavia come equipe non proponiamo mai una discontinuazione temporanea, ma laasciamo che sia il pz ad autoregolarsi. Nel reparto CT residenziale, in cui io non sono coinvolto, spesso e' l' equipe che manda il pz fuori dalla CT per un periodo di 'short leave', un periodo di ripensamento dopo episodi di acting-out. (to be continued later!).
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Marco Chiesa
Primario Psichiatra
Cassel Hospital

cassel
Scusate per l' interruzione. Dicevo che quando u pz viene mandato in short leave dall' equipe di comunitá e' spesso una sanzione per comportamenti ritenuti distruttivi e inaccettabili, e vengono vissuti come punitivi dai pazienti. In genere sono il risultato di elementi controtransferali non ben metabolizzati dall' equipe. Quandi il pz decide di lasciare la comunitá sembra piu' difficile rimanere in contatto con loro e spesso il time out si conclude con la dimissione prematura del pz. In genere c' e' meno tolleranza nel setting residenziale delle assenze dei pz. e vengono spesse considerate come fughe o risposte distruttive o resistenze al trattamento e meno spesso come una comunicazione del pz allo stato della comunitá e degli elementi difunzionali in essa presente, o come un tentativo di trovare spazi che non c' erano nella pentola a pressione della CT.
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Marco Chiesa
Primario Psichiatra
Cassel Hospital


decresc

Residenza: roma

Caro Marco, trovo notevoli corrispondenze tra le risposte con le quali intervenite sugli “agiti” dei borderline e la nostra modalità di gestione delle loro problematiche, ed è particolarmente significativo che questo avvenga al di là delle diversità delle culture e dei modelli operativi . Inoltre questo confronto costituisce una verifica che mi conforta poiché, quantomeno qui in Italia, il dibattito sulle modalità operative di intervento è pressoché assente e la convegnistica ufficiale trascura un incontro diretto tra le diverse esperienze .A questo proposito questo forum mi sembra riempia un vuoto che rimane in ogni caso allarmante.
Significativo mi sembra inoltre il tuo stimolo a considerare alcuni comportamenti del pz non tanto come degli acting -out , quanto piuttosto come degli acting-in, ovvero delle precise comunicazioni ,fatte dal pz all’equipe, allo scopo di segnalare carenze nella gestione delle sue problematiche. E’ come dire che il paziente Borderline , per la sua ipersensibilità all’ambiente in cui vive, può divenire per così dire Il termometro delle insufficienze terapeutiche e organizzative dell’intera struttura. Egli obbliga l’equipe a interrogarsi su quello che la psicoterapia istituzionale ha definito come “controtransfert istituzionale” ovvero le risposte istituzionali , spesso inconsapevoli e simmetriche, che da' l’equipe agli acting-in del pz borderline e nelle quali precipitano , come ho detto nel precedente intervento, la congerie delle responsabilità istituzionali, che qui da noi non sono mai completamente chiare.
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marino de crescente